La Casa dei Nonni - Prima Parte

La Casa dei Nonni - Prima Parte

Ricordi d'infanzia - n.6

La famiglia I miei nonni materni, ormai deceduti da oltre 60 anni, hanno avuto cinque figli: tre femmine tra cui Antonietta, la mia mamma, e Luisa, la madre dei miei cugini e compagni di giochi.
La terza figlia, la maggiore, si è sposata e suo marito ha svolto a Chioggia un lavoro di prestigio: il notaio.
Uno dei figli maschi, aviatore, è morto in un incidente di volo quando io ero ancora piccolo, l’altro è vissuto a Venezia ed ha avuto due figlie: le mie cugine.

I nonni risiedevano a Chioggia, dove sono andato ogni estate per tutti gli anni della mia infanzia, dal 1945 al 1965 ed anche dopo.
La casa era costituita da tre appartamenti, più qualche locale indipendente.
I nonni stavano nell’appartamento più grande.
Nel secondo è vissuta la famiglia dei miei cugini.
In alcune stanze del terzo ci ho soggiornato d’estate con la mia famiglia.

L'edificio faceva parte di un complesso più grande, edificato nel lontano 1724 dai Podestà di Chioggia e che, nell'800, i bisnonni materni hanno acquistato dai loro eredi.


L’Ingresso e il Bar del Marsià

La casa dei nonni era molto grande: in alcuni punti fino a tre piani. Il lato più bello, di rappresentanza, dava sul Corso del Popolo, cioè sulla strada principale di Chioggia, mentre l’entrata era nella calle laterale: Calle Crispi (detta anche Calle Cinema Verdi, essendovi appunto quel locale).

Ricordo che nei primi anni l’ingresso era molto ampio, con due larghi portoni e le due finestrelle ovali con grate in ferro battuto, tipiche delle case veneziane.
In quel grandissimo atrio c’era molta luce che lo rendeva un posto ideale per giocare e passare il tempo nelle brutte giornate. Fissate al muro e molto utili per i nostri giochi c’erano due panche di marmo rossiccio, poste ai lati della scala; c'erano anche le porte di accesso a un ripostiglio e al cortile interno, che chiamavano “caneva”.
Nel pavimento era rimasta una misteriosa botola rotonda, col coperchio di marmo, un tempo riserva d’acqua e poi, forse, recipiente per l’olio, quando il nonno aveva tentato di dedicarsi al commercio.
Però il nonno non era tagliato per gli affari, perciò si era presto ritirato, dedicandosi ad amministrare i beni suoi e della moglie: la mia nonna. Di lei si diceva che avesse ereditato “cento case”; se non cento erano comunque tante, perchè quel patrimonio ha potuto fornire alla famiglia tutto il sostentamento.

Ero già grandicello quando quell’atrio bellissimo è stato modificato, lasciandovi un unico portone per destinare il resto a due esercizi commerciali: un laboratorio di pellicceria da un lato e il bar del “Marsià” (maresciallo o meglio ex-maresciallo) sull'altro.
Quel negozio era davvero minimo, ma aveva una licenza per disporre i tavolini e le sedie dei clienti sul Corso del Popolo. Proprio quelli che sono stati spesso il bersaglio degli scherzetti serali miei e di mio cugino Pino, dalle nostre finestre sovrastanti.
Quanto al Marsià, si trattava di un vero personaggio laborioso e infaticabile. Ad esempio, per arrotondare gli introiti estivi, preparava periodicamente i croccanti di arachidi e zucchero caramellato.
Ho avuto l’occasione di osservare incuriosito quell'operazione che svolgeva all'aperto, nella Calle.
Versava e lasciava raffreddare l’impasto sul tavolo di marmo, tagliava le due misure (grande e piccola) di croccanti, li metteva in un grosso barattolo di vetro trasparente e verso sera andava a venderli in spiaggia.
Là il Marsià, con grembiule e cappellino bianco, camminava su e giù sul bagnasciuga, richiamando senza stancarsi i clienti coi suoi slogan commerciali:
– A dieci e a venti ... Piansè putei che la mama la ve dà i schei.

Il Mezà del Nonno

Locali esterni agli appartamenti Torniamo all’ingresso e saliamo un primo pezzo di scala. Dopo la ristrutturazione era rimasta un po’ in penombra, perciò o accendevi la luce o dovevi star ben attento e contare i gradini.
Fatta la prima rampa, si arrivava al piccolo pianerottolo, dove sulla destra si apriva la porticina a vetri del “mezà” (cioè dell’ammezzato). Quello era lo studio, l’ufficio del nonno, dove lui riceveva i “fittuali”, così chiamavamo i fittavoli.
Là dentro il nonno passava gran parte della giornata aspettandoli, seduto alla sua grande, vecchia scrivania.

Noi nipoti avevamo l’abitudine di passare a salutarlo prima di andare in spiaggia e ci aspettavamo una piccola mancetta. Lui ci accoglieva sempre sorridendo e ci permetteva di curiosare tra i tanti ninnoli del suo tavolo.
Che oggetti interessanti ci trovavamo li sopra! C’era proprio da sbizzarrirsi tra: portapenne, cancelleria varia, scatolette, calendari meccanici da tavolo (non più funzionanti), portapipe e portacenere.

Boccia ex-pesci rossi Mi attirava in modo particolare una boccia di vetro, sigillata, con acqua al suo interno, dove a metà altezza stavano due ex-pesci rossi. Dico “ex”, perché oramai il colore se n’era andato e, tranne piccolissime tracce dei bei tempi, erano divenuti bianchi e grigi. Ma erano egualmente interessanti: potevi inclinare o capovolgere la boccia e vedere dove si spostavano.

Era curiosa anche la pipa del nonno; se non la stava fumando la trovavi lì appoggiata sul tavolo. Era la classica “pipa chioggiotta” col fornello in argilla biancastra, scolpita grossolanamente, quanto basta per raffigurare una testa d’uomo o di animale.
Talvolta poteva succedere che il nonno, avendo qualche doloretto artritico più forte, ci incaricasse di acquistarne una nuova, oppure un nuovo cannello di ciliegio, nero, lucido.
Il tabaccaio, suo fornitore, era situato in fondo al Corso del Popolo, verso il Duomo. Lo conoscevamo bene, infatti da lui compravamo le “gocce di fosforo” (chissà se esiste ancora qualcosa del genere al giorno d’oggi). Dopo vi racconto a cosa ci servivano.

Sul piano di lavoro della scrivania del nonno trovavi il Registro, lì pronto per annotare i pagamenti degli affitti e delle spese degli inquilini.
Registro In bella, tonda calligrafia lui trascriveva, oltre al nome e cognome, l’eventuale “detto”, cioè il soprannome o l’alias, indispensabile, dato che a Chioggia i cognomi circolanti sono davvero pochi, cioè una continua ripetizione di: Scarpa, Boscolo, Anzoletti, Penzo, e pochi altri.

I Registri dei mesi più vecchi stavano nella libreria alla destra della scrivania. Là scorgevi anche tanti altri volumi ben allineati, che il nonno talvolta ci additava, commentando con orgoglio:
– Quelli sono libri molto antichi!
Poverino, non se n’era mai accorto, ma la mamma mi raccontava che lei e i suoi fratelli da piccoli erano spesso andati lì a strappare qualche pagina, perché quella carta vecchia e spessa ben si prestava ad essere usata come carta assorbente, ed era gratis!

Lo Studio dello Zio Notaio e la Sala d’Attesa

Dallo studio del nonno una porticina dava sul locale attiguo, destinato ultimamente a "Studio dello zio Notaio", ma che per tanto tempo era stato usato come camera da letto dello zio di Venezia, che veniva spesso a Chioggia a fine settimana.
Però, il vero accesso si raggiungeva tornando sul pianerottolo, facendo ancora qualche gradino della scala, per giungere ad un locale di disimpegno, dove, oltre alla porta a vetri dello studio, si aprivano pure gli accessi ai tre grandi appartamenti.

Soffitto Però, prima di proseguire nella visitazione devo descrivervi bene questo locale, perché era davvero particolare.
Aveva una bellissima panca di marmo e un meraviglioso soffitto dipinto come una finestra rotonda, aperta su un cielo azzurro, sfumato da qualche rosea nuvoletta. Tutt'intorno aveva una cornice dorata, dipinta a finto rilievo, con rose e fiori dispersi qua e là. Forse si affacciava anche un angioletto ma non ne sono più sicuro.
Quando mio zio notaio (marito della figlia maggiore) si è trasferito da Verona a Chioggia, la camera dello zio di Venezia gli è stata ceduta come studio e, conseguentemente, il bellissimo atrio col cielo dipinto è diventato la "Sala d’Aspetto" dei suoi clienti.
Se ce n’erano là in attesa noi bambini passavamo rispettosi e in silenzio. Ma quando lo studio dello zio era chiuso, ci piaceva andare a rovistare tra i giornali che lui vi lasciava a disposizione dei clienti. Però solo per ridacchiare un po’, perché erano tutti giornali pro-missioni, arrivati allo zio che faceva loro offerte generose.

Ventilatore Un’altra cosa interessante, in assenza dello zio, era andare a provare il suo ventilatore. Allora l’aria condizionata non esisteva od era una rarità. Per rinfrescare lo studio, mio zio notaio aveva acquistato un enorme ventilatore, con cui dava a se stesso e ai suoi clienti un po’ di refrigerio nei pomeriggi estivi più caldi.
Il ventilatore oscillava silenzioso da destra a sinistra ed era una vera sciccheria star lì a farsi arruffare i capelli dal suo potente getto d’aria.

Divagando ancora, vi devo dire che lo zio notaio non si faceva certo mancare le comodità e le innovazioni e cito un altro esempio.
Nella bellissima casa che aveva acquistato sul Corso, a pochi passi da quella dei nonni, lui era riuscito a farsi installare un mini-ascensore personale, necessariamente ridotto per poter stare nella stretta tromba delle scale, ma sufficiente da lasciar entrare lui di fianco. Lo zio notaio era abbastanza, diciamo, robusto.

Le Nostre Stanze al Secondo Piano

Torniamo nella sala d'attesa col cielo dipinto. Lì sulla sinistra c’era una vecchia e grande porta di accesso alla scala che portava alle stanze del secondo piano, disposte proprio sopra ai locali sin qui passati in rassegna.
La porta aveva degli strani cardini che la sollevavano un poco quando la si apriva. Sulla sua sinistra c'era un campanello meccanico, antico, originale. A noi serviva solo per giocare e far confusione: infatti lo si suonava solo per divertimento anche quando al di là non c’era nessuno.
La catenella penzolava dall’alto e, attraverso un foro nel muro, faceva dondolare dall'altra parte la campana d’ottone, fissata su una molla a spirale.
– Din din, din din … din din, – quanti inutili scampanii abbiamo fatto!

Baule La rampa in gradini di legno verniciato, rumorosi sotto ai nostri salti di bambini, portava a un largo passaggio con finestra, dove restava per tutta l’estate il nostro baule milanese, quello che si cominciava a preparare con tutte le nostre cose estive a maggio, per poi spedirlo via corriere "Domenichelli" in anticipo rispetto alla nostra partenza in treno.
2do piano Da lì si accedeva alle due camere da letto comunicanti: quelle che per espresso o tacito accordo erano state riservate a mia mamma e alla sua famiglia.
La stanza più grande, la matrimoniale, aveva due finestre: una sulla Calle, l’altra sul tetto di una casetta più bassa.
Era stato conservato l’arredamento originale dei tempi dell’infanzia della mamma e degli zii, perciò ci trovavi: un antico comò con marmo e specchiera, due comodini nello stesso stile, due letti alti, separati ma affiancati. La loro testata e il loro schienale di fondo risuonavano picchiandoci sopra, perché erano in lamiera metallica, camuffata con pittura a finto legno, qualche ghirigoro e schegge di madreperla.

Nei primi anni ci dormivo con mia sorella; più tardi è stata la camera mia e di mio cugino Pino.
Quante cose ci siamo raccontati là, ogni sera, in attesa che il sonno ci cogliesse completamente!
Si parlava di un po’ di tutto: delle cose che lui faceva nel collegio Manfredini ad Este, delle mie esperienze a Milano e poi, ovviamente, dei nostri progetti per il giorno dopo: in spiaggia o in barca.
Qualche volta puntavamo la sveglia per poterci alzare al mattino, alle 5.30 o alle 6.00 per non perdere la bassa marea, altrimenti avremmo dovuto rinunciare alla ricerca delle “corbole”, le nostre esche per le anguille. Ma allora eravamo già ragazzi e non più bambini.

Dalla finestre, lasciate socchiuse per far girare l’aria o l'illusione di un po' di fresco, arrivavano le voci e i brusii dalla Calle sottostente, le ordinazioni e il tintinnio di bottigliette e bicchieri, portati su e giù dal bar del Marsià ai tavolini sul Corso.
Da lontano giungeva l’eco delle musichette che le orchestrine suonavano negli altri caffè.
Mi ricordo ad esempio: “Dove sei Gigolette, senza il tuo Gigolò, balli ancora la Java che si ballava vent'anni fa? …”.
E pian piano il sonno ci avvolgeva.

Qualche volta anche noi ci siamo seduti alla sera con le nostre famiglie in quei bar, specialmente se c'era mio papà, arrivato da Milano. Eravamo numerosi, perciò affiancavamo più tavolini e facevamo un cerchio con tutte le sedie necessarie.
Ricordo che una volta si era seduto con noi anche il nonno che, al momento di ordinare, aveva fatto al cameriere la richiesta curiosa:
– Per favore vorrei assaggiare quella bibita nuova di cui si sente tanto parlare.
E sapete di cosa si trattava? Era la Coca-Cola, probabilmente nel momento del suo lancio in Italia o, almeno, nei centri più piccoli.

Toeletta Tornando alla descrizione delle camere da letto: dalla nostra si accedeva ad un’altra più piccola con un unico letto, stanza che aveva due particolari molto curiosi.
Infatti, a lato del normale lavandino, aveva una toilette antica, dei tempi dell’infanzia di mia mamma: un trespolo in ferro con catino ribaltabile, piano di marmo e specchio; sotto al catino stava il secchio per raccogliere da un foro l’acqua già usata per lavarsi e, sul ripiano più basso, la brocca con l’acqua pulita.

Altra cosa particolare della stanza era l’avvallamento presente proprio nella zona di quella toilette, per cedimento di qualche trave del pavimento. Essendo però rivestito in stucco, come tipico nelle case veneziane, il pavimento si era adattato alla deformazione senza mostrare alcuna crepa.
I primi giorni mi avvicinavo un po’ sospettoso a quella zona, temendo il crollo, ma successivamente mi abituavo e non ci facevo assolutamente più caso.
Quella cameretta, dopo la cessione del locale sottostante per lo studio notarile, era stata riservata a mio zio che arrivava da Venezia e vi dormiva nei weekend.
Della stessa cameretta devo infine dirvi che la sua finestra, che dava sul tetto della casetta vicina, era la stazione di arrivo della teleferica domestica che io e Pino ci costruivamo nelle giornate di pioggia e di cui vi parlerò forse più avanti.

Le Stanze dei Santoli

La cameretta dello zio di Venezia aveva anche un uscio indipendente che dava sul passaggio di disimpegno, quello del baule milanese, ma dalla parte opposta.
Lì accanto trovavi un terzo locale normalmente chiuso e una nuova rampa di scale di legno naturale, per accedere al piano superiore con altri vani e soffitte.
Durante l’infanzia di mia mamma quelle stanze costituivano l’appartamento dato in affitto ai “santoli”.
In veneto questo termine significa padrini di battesimo, o cresima o di simili occasioni. In senso allargato significherebbe protettore, amico fidato, tant’è vero che c’è un proverbio che dice:
– Chi gà santoli gà bussolà (chi ha padrini ha ciambelle).
In alternativa a santoli talvolta si diceva "compari", coerente al significato detto.
Non mi pare di averli mai conosciuti. Ho infatti un ricordo di locali usati come ripostigli e soffitte.

La stanza accanto alla cameretta dello zio era una ex-cucina col pavimento ancora in mattoni. Là trovavi accatastate le cose più varie. Ad esempio: secchi e recipienti di zinco, rame e ottone di ogni dimensione, fiaschi e bottiglie di tutti i formati, sedie, mobiletti, ecc.
La munega C’era anche un oggetto molto particolare, una “munega”, che in veneto significa “monaca”, ma che designa pure un originale, antico scaldaletto. Era una struttura in legno con al centro il piano per il braciere e attorno un telaio di sottili stecche di legno, disposte per distanziare le coperte e non farle bruciare.
Altra cosa curiosa e irresistibile: le palle di carta di giornale, bagnata e poi asciugata, pronte per essere usate per attizzare la fiamma delle stufe. Ovviamente erano i proiettili ideali delle nostre battaglie tra cugini.
Quando ero più grandicello questo locale è stato inglobato nell’appartamento dei miei cugini, ristrutturato come camera da letto e la vecchia porta è stata murata.

Salendo la seconda rampa di scale dell’ex appartamento dei “santoli” si arrivava al terzo piano.
Là il pavimento originale era tutto in assi di legno. C'erano delle stanzette, più un locale sottotetto, dove bisognava chinarsi per raggiungere gli angoli lontani.

Nei primi c’erano mobili vari accatastati, alcuni vuoti e posti uno sull’altro, altri ancora in uso, pieni di biancheria, coperte e vecchi vestiti.
Domenica del Corriere Cosa interessantissima: là c’erano le raccolte ben rilegate di vecchi giornali illustrati: la “Domenica del Corriere”, la “Tribuna Illustrata” e simili.
Che belle le tavole disegnate e colorate di quelle e altre riviste; alcune erano molto vecchie: della prima e della seconda guerra mondiale, delle prime corse automobilistiche e in bicicletta, persino delle spedizioni di Nobile.
Ma c’erano pure cassetti pieni di romanzi gialli e di avventura, in edizione economica. Noi ne prelevavamo man mano qualcuno da portare al mare per leggerlo sotto all’ombrellone.
La raccolta a puntate, quasi completa, dei “Tre Boy Scouts” (edizioni Salani) me la sono portata a Milano e forse ce l’ho ancora da qualche parte.

Nel locale sottotetto c’erano altre vere meraviglie.
Sifoni selz Là stavano i vecchi sifoni, vuoti del selz, quelle caratteristiche bottiglie che oggi trovi nei mercatini di antiquariato: ce n’erano tantissime, sia ordinate che sparse qua e là e non solo in vetro azzurro, ma anche qualche raro sifone rosa o giallino.
Forse giocando ne abbiamo rotto qualcuno. Mah? E’ probabile.

Ricordo anche numerose gabbiette per canarini, oramai arrugginite e anche qualche trappola per topi, probabilmente rotta e non più utilizzabile.
Mi attiravano molto alcuni mazzi di vecchie chiavi arrugginite, ma ce n’erano di veramente enormi: qualcuna lunga anche trenta, quaranta centimetri, e mi chiedevo:
– Dove mai è il portone che questa chiave deve aprire?
Da quella soffitta uscivamo portandoci via sempre qualche strano oggetto, giudicato interessante per i nostri giochi.





Chiavi



Fine Prima Parte

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G.A.

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