Qui c’era …

Qui c’era …

Ahi, ahi, siamo già a fine gennaio e non ho ancora scritto il mio raccontino mensile.
In questi ultimi giorni mi hanno abbastanza strapazzato all’ospedale. Forse è per questo che ho perso un poco la voglia di scribacchiare?
Magari mi hanno anestetizzato la fantasia?
Beh, ci provo lo stesso … vediamo un po’ che cosa ne vien fuori.


Guardo fuori dalla finestra.
Gli alberi hanno perso tutte le loro foglie e mi lasciano la visuale dell’intero piazzale Segrino, dove ora abito.
Quando da Monza, 12 anni fa, mi sono trasferito qui a Milano, la piazza era molto diversa. Ed è bastato davvero poco tempo per trasformarla, perché il quartiere ha aumentato di molto i suoi ristoranti, i bar e i punti di ristoro, destinando a tali scopi quasi ogni altro negozio del rione.
Se non lo conoscete, si tratta del quartiere "Isola".

Ad esempio, qui di fronte c'era un negozio di abbigliamento, ma s’è trasformato in un ristorante salutistico. A fianco c'è n’era uno di cartoleria ed oggetti per l’ufficio; ha resistito parecchio, ma poi ha ceduto i suoi locali a chi ora propone lì le sue specialità di carne arrostita.
Su un altro angolo del piazzale, un negozio di calzature si è trasformato in bar specializzato in aperitivi e bevande esotiche ed ora in “prosciutteria”. Su un terzo angolo, una rivendita di auto usate è diventato la pizzeria napoletana di maggior richiamo dell’intero quartiere.
Lo stesso potrei raccontare per tanti negozi delle altre vie qui attorno: prima c'erano, ma ora non ci sono più.

Le cose non durano. Il tempo le trasforma: per trovarle come erano non servono più gli occhi.
Occorrono i ricordi, se li hai saputi conservare.
Tanti ne custodisco ancora con me.

Fino a 15anni ho abitato a Milano in via Alessandro Stradella.
Era una strada breve, con poco più di una dozzina di numeri civici. Erano abitazioni di 5 o 6 piani, del tipo quelle costruite alla fine dell’800, da affittare alle famiglie che si trasferivano in città, attratte dalle sue nuove opportunità di lavoro.

Quante, quante volte ho percorso quella via!
Era bella?
Direi di no.
Infatti non vedevo altro che portoni massicci, lunghi muri grigi con le basse finestrelle delle cantine e quelle grandi, dei piani rialzati, serrate e troppo alte per scorgerci qualcosa.
C'era sì qualche negozio, ma soltanto alle due estremità della strada.

Il rosaio L'unica scintilla d'interesse s'accendeva a metà della via, passando accanto ad un piccolo giardino condominiale, lungo circa otto o dieci dei miei passi.

Lo proteggeva un muretto. La mamma mi aveva detto che un tempo lì sopra c'era un'inferriata, ma che durante la guerra, con la campagna del “ferro alla patria”, era stata tolta per rifornire le fabbriche d’armi.
Al suo posto era stata messa una struttura a colonnine in cemento. Lì spesso mi fermavo e, sbirciandoci in mezzo, potevo scorgere un giardinetto con qualche alberello verde ed alcuni cespugli di ortensie.
Per me era una vera oasi, in contrasto coi tristi muri grigi della via.
E là c’era la cosa più attraente: un rosaio rampicante che si appoggiava alle colonnine del muretto e che, in primavera, faceva capolino fin sulla via, mostrando in cima qualche timido ciuffo di rose bianche. Quanto avrei desiderato di poter essere più alto ed agile per raggiungerle e prenderne qualcuna da portare a casa con orgoglio!

Là, allora, c'era; ma probabilmente oggi non c'è più.
Sì, potrei andare a controllare, ma preferisco continuare ad illudermi che il giardino ed il rosaio esistano ancora, identici a come io li ricordo.

Lo stesso vale per tante cose.
Potrei farne quasi un ritornello: "qui allora c’era, qui c’era … ma non c'è più".

Adesso mi chiedo, ed anche tu puoi farlo: perché andiamo nei ricordi?
Non è forse più importante quello che c’è ora intorno a noi? Perché ricordare?
Perché fare confronti tra oggi e il passato?
Non è forse meglio tra oggi e il futuro?
Se sei giovane lo puoi fare. Chi non lo è si guarda indietro.
Ed è importante ricordare. I nostri ricordi siamo noi: sono la nostra vita.

Io ne conservo tanti.




vvv bbb



G.A.

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