Rasputin

Rasputin

Rasputin Rasputin è stato un importante e influente consigliere dei Romanov, dello zar Nicola II di Russia e della zarina Alessandra.
La famiglia reale lo stimava e aveva in lui molta fiducia, perchè aveva esercitato con successo le sue capacità taumaturgiche. Rasputin riuscì così ad influenzare le loro decisioni anche in questioni di governo, militari e religiose.
Era però un personaggio contraddittorio, in bilico tra misticismo, fede e lussuria, tra saggezza e avventatezza.
Tanto era stimato dallo zar e altrettanto era odiato dall’aristocrazia e dagli altri consiglieri di corte, che alla fine lo fecero assassinare.

Questo è il vero Rasputin, ma qui io vi voglio parlare del “mio” Rasputin


Il “mio” Rasputin è uno dei medicanti che ho avuto modo di conoscere e, non lo nascondo, pure di affezionarmici un poco.
Non è stato l’unico, dei poveri diseredati che ho incontrato. Ne ho parecchi da ricordare.
Il primo è stato Krishna, da me soprannominato "Le Phisique du Role". Ma di lui vi ho già parlato in un precedente racconto.

Un altro dei miei poveracci è stato Hassan. Lui era un marocchino di mezza età che mendicava da un po’ d’anni qui in Italia. Lo faceva per alcuni mesi e poi rientrava con quanto racimolato al suo paese, per tornare di nuovo qui, non appena quel gruzzoletto era finito.
Gli lasciavo quasi sempre qualcosa, ma ci salutavamo e ci parlavamo, anche se non gli davo nulla.
Hassan non aveva davvero un bell’aspetto, tant’è vero che un giorno, essendo in giro con due miei nipotini e dovendo passargli accanto, avevo detto loro:
– Cari, adesso vedrete l'uomo più brutto del mondo, ma non spaventatevi, perché è una persona buona e semplice.
Con la crisi del corona-virus Hassan se ne è partito per il Marocco e non è ancora tornato in Italia.

Posso accennarvi anche al “mio” Mosé, un clochard che avevo così soprannominato per il suo aspetto da profeta: capelli lunghi e barba bianca, lunga e incolta.
Di solito stazionava negli spazi sotterranei del centro commerciale, accanto all’ingresso del supermercato. Se vi passavo verso le 11 del mattino, lo trovavo che già pranzava con le cosucce là acquistate per il pasto, che disponeva in bell’ordine su una balaustra o ripiano di marmo, che gli faceva da tavolo da pranzo.
Mosé passava gran parte del suo tempo al riparo in quegli spazi commerciali coperti oppure nella vicina stazione ferroviaria.
Era impossibile non notarlo, perché portava soltanto una scarpa, forse perché aveva male all'altro piede o magari per una sua strana mania. Ma a sentirlo parlare, sembrava un tipo vispo, sano di mente e non lo psicopatico che poteva apparire alla prima impressione.

Ma adesso vi devo parlare di un altro disperato. Per il suo aspetto l'avevo soprannominato Rasputin, essendo forte la sua somiglianza col famoso, mistico consigliere dei Romanov, quello accolto e molto osannato alla corte dello zar e della zarina.

La prima volta che l’ho incontrato, forse più di un anno fa, lui camminava lentamente e con fatica davanti a me.
Il mio Rasputin Già vedendolo da dietro dimostrava tutta la sua miseria: barba e capelli biondo rossicci, lunghi e in disordine, una specie di gualdrappa brunastra buttata addosso a coprire le spalle e metà della testa, pantaloni dello stesso colore, stracciati e con vari brandelli a penzoloni.
Io procedevo più velocemente di lui e, prima di superarlo, ho cercato nelle tasche una moneta con l’intenzione di dargliela.
Giunto a tre, quattro metri da lui sono entrato in un alone di tanfo insopportabile. Trattenendo il respiro, l’ho affiancato e gli ho porto quello che avevo in mano, ma lui, quasi con sdegno l’ha rifiutato, allontanandosi.

Da allora l’ho incontrato altre volte in giro qui nel quartiere, ma non l'ho mai visto chiedere nulla a nessuno.
L’ho scorto invece mentre rovistava nei cestini e nei bidoni delle immondizie. Sospetto che vi cercasse qualcosa da mangiare, dato che, rifiutando l’elemosina, non aveva modo di comperarsi alcunché.

Aveva sempre attorno a sé la sua nuvola di odore disgustoso.
Il suo abbigliamento avrebbe potuto essere ciò che restava di una divisa militare. Così m’è venuto da pensare che lui fosse un ex militare serbo-bosniaco, fuggito dalla guerra in Jugoslavia, provato e segnato, anche nella mente, da quelle stragi e da quegli orrori terribili.

Casualmente un giorno ho scoperto dove “abitava”.
Rasputin s’era ricavato uno spazio personale in un’aiuola, tra un muro ed un’alta e fitta siepe. Lì dietro aveva buttato in terra qualche straccio e là si ritirava per riposare e per le sue necessità.
Nulla di più accogliente di una tana di animale selvatico.
Se ti ci avvicinavi mentre lui era là, ti scacciava in malo modo, a gesti e mugugni.
E non si capiva assolutamente che cosa dicesse.

Nonostante i suoi rifiuti, ho desiderato di dargli qualcosa da mangiare, Così, un paio di volte gli ho portato e lasciato appeso alla sua siepe un sacchetto con delle brioche e un po' di cioccolata.
Per qualche giorno Rasputin non li toccava, poi il sacchetto scompariva ed allora speravo che si fosse nutrito con quanto gli avevo portato.

Se passavo dalle parti di quella sua dimora, sbirciavo per capire se c'erano segni della sua presenza.
Ma terminata l'estate non ho più avuto occasione di incontrarlo né nel suo nascondiglio, né in giro per il quartiere.
Rasputin se n’è davvero andato via.

Devo dire che mi manca, perché lui è un esempio reale di come la vita, la sorte può esserti avversa e accanirsi su di te, portandoti via tutto, anche l’anima e la mente.
Ma anche il "mio" Rasputin è un personaggio contraddittorio.
Infatti, a lui gli aveva lasciato la stima di se stesso. Perchè nel suo staccarsi da ogni cosa, nell'essere scontroso e rifiutare qualsiasi aiuto, nella sua rinuncia a mendicare c'era qualcosa di nobile, superiore e degno di rispetto.

Dove sei adesso amico mio? Non andare in altri posti dove non ti conoscono e ti scacciano. Torna da noi: qui, nonostante i tuoi modi rudi e la tua puzza, noi ti comprendiamo e ti vogliamo bene!



Tana tra i cespugli



G.A.

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